Donatella, la mia amica, racconta

        Avventura a Korcula

di Donatella Monnini

Ci avevano raccontato che l’isola di Korcula, che si trova esattamente di fronte a Orebic, era vicinissima, come tante altre più o meno piccoline, e che si poteva raggiungere in canotto. Figata pazzesca!
Dunque, in quel lontano viaggio in Yugoslavia, con la nostra Renault 12 sgangherata, ci siamo procurati un canotto coi remi e siamo partiti alla volta della Croazia, dove sulla penisola di Peljesac abbiamo cercato e trovato un piccolo alloggio a Orebic, in quei tempi meravigliosi in cui non occorreva prenotare mesi prima ogni cosa e si andava semplicemente alla scoperta dei luoghi.
Un mattino il cielo era terso, l’aria calma e il mare una tavola.
"E’ il giorno perfetto", ci siamo detti. Abbandoniamo la casetta,  dove alloggiavamo, portandoci la borsa con il necessario per la giornata, il canotto coi remi, l’immancabile ombrellone per il mare e ci dirigiamo alla spiaggia. Gonfiamo l’imbarcazione a fiato, montiamo sopra con tutto quanto ed iniziamo a remare, a remare... L’isola era lì, si vedeva benissimo.
 Ci alterniamo ai remi e intanto ci godiamo lo spettacolo calmo della distesa d’acqua piatta, sotto e intorno a noi, resa argentea dai bagliori del sole del mattino, che non colora subito tutto di blu, non ha fretta, e dell’’isola verdeggiante che stava di fronte e che però faticava ad ingrandirsi. Con la nostra fedele Yashika, una reflex con diversi obiettivi che ci portavamo sempre appresso nella  borsa, iniziamo a scattare foto della traversata, per poi gustarci le diapositive sul telone al rientro dalle vacanze.
I lontani puntini iniziavano a prendere forma  come persone sulla spiaggia, la macchia verdissima incorniciava tutto circolarmente. Finalmente, dopo un’ora di remate e un po’ stanchi, approdiamo sulla sabbia quasi baciandola, con la gloriosa sensazione di avere compiuto un atto eroico e ci piazziamo con tutta la nostra attrezzatura sotto l’ombrellone infilzato a dovere. Posto incantevole, che pian piano si riempie di nudisti e famiglie, molte munite di piccole imbarcazioni a motore che venivano trascinate sulla spiaggia.
A motore, ecco è stata la cosa che ho subito notato: nessun canotto. All’epoca non ci siamo informati di quale attrezzatura civile disponesse l’isola, se ci fosse un centro abitato, un albergo, romanticamente eravamo convinti di essere su un’isola praticamente deserta, fatta solo per passarci una giornata, e se no a che serve essere giovani? Inizia dunque la nostra giornata, tra bagni, sole, foto scattate qua e là, la sorpresa di un cerbiatto che si aggira per la spiaggia, ci dicono che è un habitué, e che si divora tutte le bucce delle angurie dei bagnanti,  pare ne vada ghiotto e infatti tutti si erano portati quel frutto. Inutile dire che dopo un po’ quel povero animale aveva un ventre enorme ma sembrava soddisfatto prima di scomparire di nuovo nel folto della macchia.
Con l’avanzare delle ore il vento comincia ad alzarsi e il mare ad incresparsi. Nel primo pomeriggio il cielo non è più terso, ma leggermente adombrato da alcune nuvolette, notiamo che alcuni bagnanti risalgono sulle loro barchette e prendono il mare per tornare a casa, cosa che rinforza il mio pensiero sul fatto che non vi fosse nulla sull’isola a parte spiagge e vegetazione. Che facciamo? Ci chiediamo da “ignoranti delle cose di mare” e giovani milanesi, spensierati e speranzosi di prolungare la nostra giornata avventurosa, e naturalmente aspettiamo che si calmi il vento e torni il sereno! 
Ma quando mai! Il sereno proprio non torna e anzi, il vento si alza, il cielo diventa sempre più grigio e io comincio a chiedere a Silvio se non sia il caso di abbandonare l’isola, certo col canotto comincia a sembrare problematico. Che faccio, chiedo a qualcuno se ci dà un passaggio con la barca a motore? Eh, che faccio chiedo a quelli? Mmmmmhhhh… boh…asp…magari ce la facciamo...Sì ma, andiamo? Eh, boh…Ecco, se ne vanno anche quelli e io non ho chiesto. E pure quegli altri. Inutile, si sa, chiedere a un uomo di “chiedere” aiuto, al terzo atteggiamento dubbioso e dopo che quasi tutti tranne una famigliola, che si stava però preparando, avevano abbandonato l’isola, mi ci dirigo assertiva e senza vergogna, tra l’altro, fra le imbarcazioni rimaste era quella più piccola e loro erano quattro, per fortuna i bambini ancora di medio/piccole dimensioni. Era una famiglia francese e subito, gentili e preoccupati, si offrono di trascinarci con una corda che avevano a bordo della barca, davvero molto piccola, che aveva una specie di cubatura con tettuccio rialzato a prua, con davanti il sedile per il “pilota” e un po’ di spazio di fianco per il passeggero. Quindi, nel vento che sferzava forte e con le onde che nel frattempo erano diventate sempre paurosamente più alte, noi imbecilli vestiti solo di maglietta e costume da bagno, iniziamo a legare col tizio la prua del canotto alla poppa della barca. Intanto la spiaggia si era svuotata, quella famiglia era davvero la nostra ULTIMA spiaggia. Ma finalmente si profilava il nostro rientro a casina dato che IO avevo CHIESTO. Entriamo tutti in acqua, loro quattro sulla barca, tutti appiccicati sul sedile e noi nel canotto, faticando a tenerlo fermo, con tutte le masserizie, la borsa dell’attrezzatura fotografica al riparo il più possibile. Sento accendere il motore e mi sale un po’ di ansia, il tipo lo manda al massimo per fare in fretta (anche loro avevano un po’ paura nonostante fossero su una barca), la barca parte e subito avverto sotto di me la differenza fra le due imbarcazioni alla prima tensione della corda, la barchetta va, beccheggiando davanti a noi, ma abbastanza linearmente, noi per niente, iniziamo dapprima ad oscillare e spostarci a destra e a sinistra e poi a saltare sulle onde. Già immaginavo la nostra triste fine e i titoli sui giornali “morti due turisti imbecilli che si sono avventurati in mare con un canotto di gomma”. Dopo avere proceduto qualche metro vedevo le onde enormi e grigie avanzare verticali verso di noi, occultando la barca alla vista e le sentivo sollevare il canotto e ributtarlo giù mentre una nuova onda era in arrivo. Aggrappati al pezzo di gomma e a tutte le nostre cose, fradici e infreddoliti, urliamo al tizio di rallentare ma già lo stava facendo, procediamo così ancora per qualche metro finché si spezza la corda ed iniziamo a vorticare e beccheggiare in quello scenario turneriano, sperando che il nostro capitano si accorga dell’accaduto e non se ne vada mollandoci lì ad affondare. Si accorge, si ferma, torna indietro non senza fatica -la distanza tra noi e loro si era allungata in un nanosecondo- ci fa cenno di salire a bordo, nonostante lo spazio ridottissimo, scende dalla torretta dopo aver spento il motore e afferra il canotto con le mani ,mentre noi afferriamo il bordo della barca; praticamente un eroe! Non ricordo come in quel beccheggiare continuo, siamo saliti a bordo con tutte le nostre cose, come abbiamo riagganciato il canotto alla barca con la stessa corda e come ci siamo stretti tutti e sei su quel seggiolino coi bambini in braccio. Forse ci ha tenuti incollati la paura. Col mare sempre più in tempesta, credo che avesse anche iniziato a piovere oppure mi sembra, perché era tutto nero, bagnato e freddo, col motore al minimo per non sobbalzare troppo ma comunque sballottati, lentamente raggiungiamo la terra ferma, mentre vedo il canotto letteralmente volare e ripiombare sull’acqua di continuo a destra e a manca dietro di noi.
 Faceva un freddo boia ed eravamo svestiti e bagnati ma salvi. Non ricordo più la quantità di ringraziamenti e prostrazioni che abbiamo rivolto a quella famiglia, non ricordo se abbiamo offerto una cena oppure no (se non l’abbiamo fatto siamo degli infami, ma non esistevano cellulari e in quel momento tirar fuori carta e penna per appuntare un qualche indirizzo non era cosa), insomma, ricordo solo i primi passi sulla terra ferma, con l’equilibrio che non gestivamo più, nel tempo atmosferico incredibilmente peggiorato, ricordo il varcare la soglia di casa con le nostre cose e la macchina fotografica, tutto salvo insieme a noi, ricordo che continuavamo a tremare per il freddo e la paura, anche dopo la doccia bollente e la minestra che ci siamo fatti per cena.
Altre avventure hanno colorato quella vacanza, alcune molto belle e altre molto meno, ma credo la ricorderò per sempre, anche perché è stata prima della guerra che ha definitivamente sconquassato la morfologia e la pace di quei territori, almeno di alcuni di essi.


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